LA FABBRICA DEL CIOCCOLATO
IL CIOCCOLATO DELLA MATA ATLANTICA Missione 2004
I miei viaggi sono più della costruzione di una filiera.
Hanno lo scopo di andare alle radici del cacao nella sua terra di origine e selezionare le piante, conoscere le persone che le lavorano, condividere con loro i segreti e la storia di ogni singola pianta, salvando delle varietà di cacao dall’estinzione a cui le aveva destinate l’industria mondiale.
In questo modo, ogni fava di cacao è una creatura protetta e accudita con competenza e passione.
Così, si arriva ad avere il Cioccolato Monovarietale in Purezza della Mata Atlantica.
I cinque sensi della Mata Atlantica
Un viaggio per scoprire e salvare il cacao bianco
Da sempre sento parlare di Biodiversità, di Ecosistema, di economia integrata, di globalizzazione, di, di, di…
In questa presentazione del diario di viaggio potremmo immergerci nel significato profondo di alcuni dei vocaboli più usati del momento.
Partendo da Malpensa con meta Ilhéus, importante cittadina della regione di Bahia, sulla costa orientale della foresta amazzonica brasiliana, il mio pensiero poteva andare al carnevale di Rio, alle suadenti e prorompenti ragazze brasiliane, alla musica carioca e ai colori folcloristici delle genti locali.
Invece il mio obiettivo era la scoperta di una rarissima varietà amazzonica di cacao bianco, che secondo informazioni datemi dal mio amico Nicolas, (giovane francese produttore di cacao) si sarebbe potuto trovare nella zona nord ovest della Mata Atlantica.
In questo secondo viaggio alla sorgente del cacao, oltre a mia moglie Mery, ho pensato di portare con me due compagni di viaggio davvero speciali.
Il fotografo Giancarlo Bononi e il cineoperatore Federico Bondi.
lo scopo era quello di documentare e catturare alcuni aspetti molto interessanti del mondo del cacao, i colori e i suoni di quei posti così lontani da noi ma così presenti nei nostri momenti “coccolatosi”.
Dopo 14 ore di viaggio, una sosta a Londra e una a Salvador de Bahia per la coincidenza, siamo atterrati all’aeroporto “Da Costa “ di Ilhéus alle 5 del mattino.
La temperatura era di 25 gradi.
Ad attenderci c’era Nicolas, un giovanissimo francese che si è trasferito in Brasile per la grande passione che lo lega al mondo del cacao e che in questo viaggio si è rivelato una vera e propria miniera di competenza e soluzioni.
Il tempo è pochissimo: in quattro giorni dobbiamo raggiungere l’obiettivo, selezionare quelle varietà degne di creare dei cioccolati monopiantagione e monovarietali.
La prima tappa ci porta a conoscere Edoardo, il rettore della locale Università Scientifica, che oltre alla professione universitaria è anche proprietario con la moglie Luciana Tacconi da Costa, di una fazenda di cacao da circa 500 ettari.
L’arrivo è emozionante.
Si apre davanti a noi una vallata incantevole.
Oltre alle palme si scorge un lago e tutto intorno una collina con a destra la struttura di trasformazione di cacao e a sinistra, leggermente più in alto, la casa colonica, che per loro più cittadini che agricoltori serve soprattutto da casa di campagna per le feste di fine settimana.
Con noi sono arrivati gli operatori della TV Il Globo informati del mio arrivo; il ruolo che ricopro in questo viaggio è duplice: come presidente dell’Associazione Nazionale Cioccolatieri Confartigianato, e come imprenditore in cerca di nuove frontiere del gusto.
Per questo la mia presenza ha suscitato interesse per un servizio ed un’intervista.
La visita alle piantagioni della fazenda è stata positiva.
La produzione agricola è sicuramente di ottima qualità.
L’unico neo riscontrato è stata la scarsa conoscenza o forse la totale ignoranza dello scopo che ha il cacao.
Mi riferisco alla poca considerazione che viene data alla qualità e importanza delle fasi post-raccolto, che influenzano ed a volte distruggono l’effetto delle cure avute nel campo.
Alla mia domanda del perché di questa trascuratezza la risposta è stata unanime: tutti concordi sul fatto che il cacao secco viene venduto a tre grandi gruppi ma soprattutto a Cargil, che non solo non è disposto a pagare di più per un prodotto ben lavorato ma addirittura ha proibito la coltivazione di quel pregiato cacao Albino dal cotiledone Bianco in quanto definito brutto da vedere; la conseguenza è la scomparsa di questa varietà dalle piantagioni.
Per motivi di caldo in questi posti non si lavora il cioccolato, e chi lo fa ottiene risultati appena sufficienti; l’unica logica produttiva è la resa in tonnellate, data dalle varietà resistenti al “Vassura de Bruxia”, il micidiale fungo che nel 1981 da decimato le piantagioni brasiliane, e che oggi grazie agli studi del centro scientifico CEPAC sta per essere debellato.
Il secondo giorno Nicolas ci porta a visitare la sua Fazenda che potrebbe sembrare la valle dell’Eden, con l’immancabile lago con anatre e germani reali, una distesa di palme da cocco e banani; sul crinale della collina sorge la casa di Nicolas, splendido esempio di bio-architettura, costruita interamente in legno, giunco, canapa e canne di bambù gigantesche.
I muri sono intonacati con argilla essiccata e gli stessi mattoni realizzati sul posto dagli operai della fazenda, l’energia elettrica è prodotta con un generatore eolico, l’acqua pompata dalla sorgente in un castello di vasi di contenimento.
Ma il nostro interesse primario ci porta a visitare le sue piantagioni, Nicolas ci accompagna attraverso una coltivazione di piante di caucciù pronte per essere incise, scendiamo un crinale coperto da piante di notevole altezza come Cagiamanga, l’Abara, la Carnauba e l’Angico, sotto le quali il Platano o Banano che dir si voglia protegge le preziose piante di cacao.
Notiamo immediatamente che sono tutte numerate e a seconda dell’esposizione le fascette cambiano colore; in questa stagione sulle piante ci sono pochi frutti: è il periodo in cui vegetano, pertanto sono notevoli le foglioline nuove che tingono di rosso le chiome delle piante, alternando una vastità di minuscoli fiorellini a superstiti
frutti con nuove e vecchie foglie.
Questa è una piantagione di Forastero, che seppur vituperato da una moda classificatrice, gode di ottima salute e curato in modo ammirevole dà origine ad un cacao di notevole struttura, decisamente profumato, con un’altissima percentuale di burro di cacao e dal colore marcato.
Se a tutto questo aggiungiamo la passione che Nicolas ha trasmesso ai suoi ragazzi, il risultato è sorprendente.
A un certo punto incontriamo gli operai che stanno bonificando una zona acquistata da poco e che ancora deve essere catalogata e riorganizzata sotto il profilo di drenaggio idrico; scopriamo che quelle piante ormai abbandonate da anni sono della varietà Scavina, dal gradevolissimo profumo fruttato e dalle fave grandi di color rosso bruno.
Tornando dalla piantagione, trasportiamo nelle gerle di vimini a dorso di mulo le cabossidi raccolte nella fazenda.
Con l’amico Nicolas abbiamo poi provveduto al “decabossage”, ovvero a rompere le capsule e ad estrarre le fave avvolte dalla mucillagine per immetterle nei cassoni di fermentazione.
Alex, Machò, Adriano e Nicolas sono abituati al lavoro, io sono solo un’aggiunta, ma due mani in più fanno guadagnare alcune decine di minuti a tutti.
Siamo ormai a sera inoltrata e tutti insieme sul pick-up di Nicolas rientriamo alla base.
Mia moglie Mery, che aveva seguito attentamente i lavori annotando meticolosamente tutto quanto accadeva e registrato tutti i nomi delle varietà botaniche incontrate, sembrava stanca.
Anche gli amici Giancarlo e Federico non se la passavano molto meglio.
Il terreno sotto gli alberi di cacao è molto fangoso perché ai tropici piove quasi tutti i giorni, quindi camminare risulta davvero faticoso.
Il terzo giorno inizia con una telefonata alle quattro del mattino.
Mia figlia Simona mi chiama per farmi gli auguri del mio 39° compleanno.
Penso ai regali della foresta amazzonica in questo particolare giorno.
Alle sei facciamo colazione nella posada, davvero notevole: le uova appena deposte dalle galline che scorazzano nell’aia cotte al padellino, e un dolce al cioccolato di levatura mondiale.
Giusto il tempo per farmi dare la ricetta e siamo già sulla strada sterrata che ci porta al nord sulle montagne del cioccolato.
Piove a dirotto ma il nostro obiettivo deve essere assolutamente perseguito; viaggiamo per oltre due ore, raggiungiamo la fazenda San Pedro dove Jean, un giovane produttore di cacao, orgogliosamente ci spiega che lui rappresenta la quarta generazione di produttori di cacao in un’azienda che si estende per 900 ettari, e vanta oltre 26.000 piante di cacao, molte di queste rappresentate da cloni di Scavinia, varietà incrociata tra Criollo e Trinitario.
Partiamo con il camion di Jean; con noi c’è anche Walter, granitico gerente della fazenda San Padro.
Attraversiamo un’incredibile distesa di piante in una zona protetta dall’UNESCO, troviamo straordinari esemplari di Criollo, con cabossidi rosso fuoco allungate dal becco di pappagallo, e ancora altre varietà sconosciute; il fango è tantissimo, non smette di piovere, ma non ho ancora trovato il cacao che cercavo.
Walter si ricorda che nell’altra fazenda, la “Leolinda”, una volta cresceva una varietà spontanea di colore bianco ma che a causa delle insistenze della Cargil, le piante sono state estirpate in quanto la fava bianca sembrava malata.
Partiamo alla volta di “Leolinda”.
Raggiungere questa fazenda è un viaggio da incubo, la pioggia ha deformato le strade creando delle voragini; io, mia moglie e Jean siamo all’interno del camion mentre Walter è sul cassone, bagnato fradicio ma imperturbabile. Il resto del gruppo ci segue con il pick-up, in un viaggio che si trasforma in un vero Camel-Trophy.
Jean non si scompone e continua a guidare sino a raggiungere la fazenda Leolinda dove il gerente della fazenda si aggiunge alla comitiva salendo sul cassone con Walter.
Lo sguardo compiaciuto di Jean mi dice che forse i nostri sforzi non saranno vani.
Ci arrampichiamo verso il Monte del Cacao, ed attraversandone i pendii capisco il motivo del nome: si presentano a noi le varietà più disparate.
Appeso a una pianta c’è un frutto di Trinitario che pesa più di tre chili, le fave sono enormi.
Mi spiegano che si tratta di un ibrido del tutto unico: la pianta produce soltanto una decina di frutti ma la loro mole è impressionante.
Lo raccogliamo e proseguiamo attraverso una piantagione di cola, i cui frutti vengono venduti all’industria chimica che ne estrae l’essenza per la Coca Cola.
Rodrigo indica a Jean che manca poco a raggiungere l’unica pianta che produce il 100% di cotiledone bianco.
E’ stato sincero: alle 11,30 raggiungiamo il punto dove alcune piante hanno resistito alla distruzione, e lì troviamo l’unico esemplare di albero del Catongo in purezza.
L’emozione per me è grandissima: è il mio compleanno, è davvero un gran bel regalo, i campesinos si stupiscono della mia commozione e mi chiedono perché io stia cercando un cacao che gli “altri” considerano malato.
Catongo è il nome che viene dato a questa particolare varietà di cacao dal cotiledone bianco.
E’ una varietà che presenta caratteristiche genetiche miste: il colletto del Criollo e la capsula dell’Amelonado; il colore del frutto è giallo oro con riverberi e striature nere.
Mentre guardo questa pianta di cacao bianco considerata malata perché non gradita alle logiche industriali capisco cos’è la biodiversità: essere considerati strani perché unici e diversi, essere considerati inutili e da dimenticare perché non remunerativi.
E’ il razzismo industriale, l’apartheid produttivo.
Insisto con Jean perché faccia una serie di innesti di cloni di Catongo: lui mi dice che non ha problemi a dedicare una Parcela a quel genotipo, e io ne sono entusiasta, con una stretta di mano tra me, Jean e Nicolas si sancisce che il cacao prodotto in quella Parcela farà parte di una collezione di cioccolati che andrò a produrre e sarà un’esclusiva Mondiale, un cugino del noto Porcellana (il nome è dato dal colore), coltivabile in foresta e di pura origine della Mata Atlantica.
Osservando attentamente, Mery mi fa notare che i germogli delle foglie non sono rossi come gli altri ma di un verde pallidissimo e i fiori sono composti da cinque petali e da quattro pistilli completamente bianchi davvero impressionanti.
Raccogliamo alcuni frutti e imbocchiamo la via del ritorno, mentre la pioggia continua imperterrita ma noi non la notiamo più: il rumore che fa cadendo sulle foglie, unito al cinguettio degli uccelli fa da colonna sonora alla nostra felicità.
La pioggia cade a dirotto, noi siamo bagnati fradici, e orgogliosamente in piedi proviamo una vera e propria avventura tropicale guadando pozze d’acqua, improvvise salite e ripide discese il tutto con un divertimento incredibile.
Alle cinque rientriamo alla base, distrutti ma felicissimi.
Abbiamo raggiunto il nostro obiettivo, trovato tre genotipi interessanti, stimolato i produttori e scoperto un nuovo – anzi antichissimo – mondo di cacao.
Il quarto giorno arriva la prova del nove: dimostrare ai produttori di cacao cosa si intende per cioccolato di qualità.
Alle otto e mezza di mattina ci troviamo al centro ricerca del CEPAC, un moderno laboratorio sperimentale per la produzione di cioccolato.
Le attrezzature sono quelle tipiche del laboratorio di ricerca, quindi di piccola dimensione; iniziamo con l’accurata e meticolosa selezione delle fave della profumatissima Scavinia: le fave sono di buona dimensione, al taglio risultano ben fermentate, l’umidità è corretta perciò si inizia a tostare.
Poi si passa al rompicacao, rudimentale ma abbastanza efficace: con una serie di passaggi e setacciate riusciamo a granulare discretamente le fave, una ritostata alle granelle per uniformare la tostatura, poi il passaggio nel mulino a pioli, piccolo ma sufficiente per il quantitativo sperimentale, la miscelazione con gli zuccheri a mano e poi in raffinatrice a tre cilindri orizzontali, raffreddati ad acqua.
La dimensione dei cilindri richiede numerosi passaggi per ottenere una discreta raffinazione, poi è la volta del concaggio breve e a freddo in una piccola conca di ceramica, alcune ore in conca e poi la tempera.
Durante il concaggio procediamo con la visita al vivaio; passando per il centro di Biogenetica vedo il metodo di lavoro, dialogo con il responsabile della ricerca e gli chiedo se la ricerca continua di varietà resistenti al fungo non rischia di trascurare la soddisfazione del palato.
Lui è stupito dalla mia domanda e mi dice “sì, non abbiamo pensato al gusto in questa fase, ma la gravità dell’infestazione era tale che era a rischio l’estinzione della specie, ora che i primi risultati sono stati raggiunti, grazie a persone come lei con cui collaborare potremmo mappare anche il cacao sotto il profilo gastronomico, anzi sarei lieto se lei signor Bessone volesse far parte del nostro gruppo di ricerca”.
Gratificato dalla proposta del Professor Vignerol, accetto l’offerta e lui mi accompagna nel vivaio, maestoso.
Una distesa di alberelli di tutte le taglie innestati con svariate metodologie e pronti per essere immessi in campo.
Saranno le pianticelle che garantiranno la salvezza del cacao, e speriamo anche quella del diletto al palato.
Torniamo al centro di produzione: vista la piccola quantità di cioccolato prodotto decido di temperare a mano su marmo.
La tempera è riuscita e ho realizzato alcune tavolette delle drops da degustazione e delle praline ripiene di gelatina di cacao fresco, davvero straordinaria, saporita fresca e originale.
Alla fine della giornata, Mery e Nicolas allestiscono il buffet di presentazione e i produttori di cacao locali assaggiano meravigliati il risultato di una corretta produzione e la magia di creare un cioccolato monovarietale in purezza 71% di cacao senza vaniglia e senza lecitina: un risultato notevole.
Giusto il tempo di salutare gli amici e la giornata finisce e con questa anche la nostra esperienza brasiliana.
Ma tornerò presto: le prime produzioni in purezza sarebbero state spedite in tempo per CioccolaTO’ dove volevo presentare i tre monovarietali e il Blend della Mata Atlantica.
In cuor mio speravo che questo viaggio mi riservasse piacevoli sorprese e per questo avevo deciso di portare con me gli amici Giancarlo Bononi e Federico Bondi.
Ma non avrei immaginato che questa visita potesse rivelarsi come una pagina fondamentale nella storia della Mata Atlantica ed in quella della mia vita.
Sono un artigiano cioccolatiere Cuneese, e credo di aver adottato la Mata Atlantica.
Sono convinto che questo viaggio rimarrà nei cuori e nella mente di tutti noi per sempre, e spero che gli appassionati del “cibo degli dei” un giorno lo ricordino.
Silvio Bessone
Ilhéus, Brasile – 25/29 novembre 2004